LA REALTA' DELLO SHAN



Che cos'e' e che cosa rappresenta l'esistenza?

Ci siamo mai chiesti veramente dove siamo? Dove ci troviamo ad esistere? In quale fenomeno abbiamo avuto la possibilità di prendere coscienza di esistere?
Domande che appariranno sicuramente singolari e forse anche un pò bizzarre. O forse domande che potrebbero scuoterci da una consuetudine di ovvietà in cui ci siamo trovati a vivere dando per scontato tutto ciò che siamo e tutto ciò che viviamo. Come se non potesse essere diversamente da quanto è.
Siamo tanto calati nella nostra vita quotidiana che non spendiamo certamente il nostro prezioso tempo a porci domande in apparenza scontate se non addirittura assurde. L'esistenza è quella che noi viviamo giorno dopo giorno. Quella che vediamo in tutto ciò che ci sta intorno e in tutto ciò che conosciamo. E' la familiarità degli oggetti che ci appartengono e delle persone con cui ci incontriamo ogni giorno. E' la familiarità dello sconfinato universo che ci sovrasta con il suo immenso cielo stellato...
Questa è l'esistenza che viviamo e conosciamo e, per molti, la sua presa in esame è sufficente per rispondere alla propria curiosità. Si lascia alla scienza il diritto di indagare e di spiegare i grandi misteri della fisica, riservando per noi l'arduo compito di tirare avanti attraverso i problemi della vita di ogni giorno.
Tuttalpiù, nei momenti di sconforto o di smarrimento, ci rivolgiamo a qualche culto, che ci sembra più sicuro di altri, per farci dare le risposte alle improvvise domande che affiorano dal nulla.
Il nostro senso di esistenza è tutto qui. Passa dalla sensazione di salute del nostro corpo, dalle emozioni che viviamo in quel momento, dal rapporto che abbiamo con gli altri, dalla cultura che ha disegnato sin dalla nostra nascita il profilo del mondo in cui viviamo.
Il nostro senso comune dell'esistenza risulta così essere un orizzonte sfumato, con una limitata messa a fuoco sull'evento che in quel momento attira la nostra attenzione, ma con i contorni più estesi che rimangono imprecisi come quelli di un sogno fatto a occhi aperti. Ignoriamo di appartenere a una dimensione molto più vasta di quanto possa essere l'angolo di cosmo in cui ci siamo abbarbicati a interpretare il copione della nostra esistenza.
Ignoriamo di vivere su una palla di roccia, lanciata a folle corsa intorno ad un'altra palla infuocata persa anche lei in una folle corsa intorno ad altre palle infuocate. In un ammasso di stelle tra tanti altri ammassi di stelle, perduti a navigare in un buio senza fine.
Ma l'universo tracciato dalla materia, per quanto immenso e misterioso, non è una certezza con cui possiamo definire la nostra casa cosmica. Esiste infatti una ulteriore forma di esistenza che va al di là dell'universo materiale. Una forma di esistenza che non è più basata sull'aspetto fisico delle forme, dei paesaggi, dei colori e dei suoni che conosciamo e che siamo abituati a riconoscere.
Il nostro universo, che siamo stati portati dall'abitudine a accettare come un fatto ordinario e certo dello scenario della nostra esistenza, non è poi così reale e concreto come sembra. Anzi, sembra essere solamente una illusione dettata dall'incompletezza dei nostri sensi.
Forse, l'illusione nasce proprio dal fatto che anche noi siamo fatti della stessa materia con cui ci troviamo a interagire, e quindi siamo imprigionati dentro la stessa logica fenomenica che ci mostra l'universo con l'aspetto che percepiamo.
Siamo perciò come degli omini di un videogioco che considerano reale e completa la loro esistenza solo perché si sparano addosso, senza immaginare che possa esserci un fuori al di là del limite del software che li fa esistere nella loro reciproca interazione. E senza immaginare che esiste un altro mondo al di là del monitor da cui i loro destini sono dipendenti e che non tiene conto delle loro aspettative e della loro volontà.
Ed è facile trovare la prova dell'illusione. Basta attuare la scomposizione della materia per accorgerci che la sua omogeneità e la sua solidità sono solo apparenza, sostenuta da strutture di atomi la cui natura non ha più nulla a che fare con la nostra esperienza ordinaria di esistenza.
Al di là della loro fitta trama, se li si scompone ancora ulteriormente, ci si trova di fronte ad una qualità di esistenza che non è più riconoscibile attraverso i parametri del nostro quotidiano. Una esistenza indefinibile che solo più la simbologia delle equazioni può trattenere nella sfera della comprensione umana.
Eppure, questa dimensione invisibile che appare al di là della nostra percezione quotidiana non è solamente materia di speculazione filosofica. Il nostro mondo ordinario è parte di questa realtà sconosciuta e dipende da essa secondo leggi fenomeniche che ci sono apparentemente lontane e incomprensibili, ma che purtuttavia agiscono su di esso. La nostra stessa qualità di vita dipende da questa natura invisibile dell'esistenza.
Noi e il nostro stesso universo veniamo da questo invisibile. Ci siamo entrati con la nostra nascita e vi ritorneremo dopo la nostra morte, senza poter avere scelto nè la nostra esistenza nè la nostra morte. Una natura fenomenica sconosciuta ci ha portati a vivere e a esistere al di là di quanto possiamo aspettarci o programmare nella nostra dimensione ordinaria quotidiana.
E la nostra stessa qualità di vita del quotidiano sembra dipendere dalla natura fenomenica dell'invisibile. Più accettiamo quest'ultima e più la nostra vita sembra diventare armonica e gradevole. Più ci allontaniamo dalla sua percezione, immergendoci dentro ai miti e alle aspettative del mondo ordinario, e più la qualità della nostra vita tende a divenire disagevole e fonte di sofferenza e di inquietudine.


I tre mondi fenomenici con cui interagisce l'uomo

Non è facile parlare di una natura invisibile dell'esistenza senza andare contro il luogo comune della percezione ordinaria. Tuttavia dobbiamo necessariamente farlo, per poter migliorare la nostra condizione di vita e per poter partecipare alla natura misteriosa e infinita della realtà in cui viviamo.
Per comprendere il significato reale della nostra esistenza dobbiamo prendere in considerazione la natura dei tre mondi di esperienza che sono accessibili all'uomo. Il primo di questi è quello rappresentato dal mondo virtuale che è vissuto attraverso le funzioni del cervello. Esso è creato dalla cultura acquisita sin dalla nascita, dalle emozioni vissute al momento e dalle convenzioni sociali dominanti. L'individuo lo interpreta attraverso il mondo interiore della psiche, creando e partecipando a un modello astratto dell'esistenza che cerca di rispecchiare quella esterna.
Noi tutti viviamo questa realtà virtuale non appena ci immergiamo in un libro e ci lasciamo trascinare dall'immaginazione suscitata dal testo che leggiamo. Non meno la viviamo quando ci lasciamo soggiogare dai luoghi comuni e dalle regole sociali che ci modellano secondo canoni già programmati. Oppure quando tracciamo modelli comportamentali sulla scia di interazioni umane con le persone che conosciamo e con cui conviviamo. In questo caso, è evidente che un occidentale vivrà una struttura virtuale completamente differente da quella di un individuo del terzo mondo e, dal momento che non si può definire chi dei due interpreta meglio l'esistenza, entrambi si troveranno non coincidenti nelle scelte e nelle azioni. E' comunque evidente la loro soggettività interpretativa e la loro lontananza dalla percezione e dalla partecipazione dell'invisibile.
C'è poi il mondo cosiddetto primario, nel quale tutti insieme interagiamo più o meno sullo stesso livello fenomenico. E' il mondo che esiste al di fuori dell'interpretazione virtuale della mente. E' il mondo della materia che è rilevata dai cinque sensi e che costituisce la base dell'interazione esperienziale comune di tutte le specie viventi.
Ma anche qui le cose non sono poi tutte quelle che sembrano. Benchè esista uno spazio considerevole di interazione comune, sono molte le differenze percettive che distinguono gli individui e che relativizzano l'importanza del mondo primario.
Ci sono specie che vivono mediando attraverso sensi che non sono coincidenti con quelli usati dall'uomo. E tra gli stessi uomini ci sono differenze di percezione dell'ambiente. Ne è un esempio la differente percezione dei colori che possono essere visti diversi da individuo a individuo. Oppure la differente percezione dell'ambiente a seconda del bombardamento chimico a cui può essere sottoposto il cervello dei singoli, dalle emozioni all'innamoramento, nell'affrontare le vicende del mondo primario.
Addirittura si potrebbe ipotizzare che l'uomo, creatura tridimensionale, non potrebbe concepire nè interagire sul piano dello stesso mondo primario con creature che sviluppassero una percezione pentadimensionale dell'universo. Una percezione per ora lasciata alla realizzazione dei computer sperimentali, in questo caso superiori alla percezione umana. Il mondo primario è inoltre il piano fenomenico dominato dalle leggi fisiche, che agiscono senza poter essere viste nella loro sostanza effettiva ma solamente percepite negli effetti che esse producono. E' un classico quella della probabilistica, che impone un sorteggio pressocchè alla pari, tra fronte e verso, della monetina lanciata per aria senza poter essere vista in azione, di cui si può solamente constatare il suo ferreo effetto sui lanci effettuati.
Infine abbiamo il mondo reale. Una dimensione dell'esistenza che non appartiene all'esperienza ordinaria del quotidiano, ma che è tuttavia evidente nella sua sostanza. Basti pensare a come è comparso l'universo che interpretiamo come mondo primario e in cui erroneamente confidiamo vi sia la natura effettiva dell'esistenza. Esso è nato dall'esplosione di un quid di energia, il Big bang, che a seguito della sua trasformazione progressiva si è concretizzata in atomi che quindi si sono ordinati nella forma di materia in cui si identifica il mondo primario.
Questa esplosione, che ha dato vita all'universo in cui viviamo sul piano sensibile, ha potuto manifestarsi poiché ovviamente esisteva un ambiente fenomenico preesistente in cui il Big bang potesse attuarsi. Esisteva un mondo reale in cui poteva esprimersi. E' evidente che il Big bang doveva essere soggetto a leggi preesistenti alla sua stessa attuazione, leggi che facevano parte dell'ambiente fenomenico in cui lui stesso ha realizzato il suo processo cosmico.
Ma non c'è stata trasformazione di qualità di esistenza. Il Big bang era solo un evento che si è manifestato in quella condizione fenomenica preesistente alla sua manifestazione, non era la qualità di preesistenza che si trasformava. Addirittura, oggi la scienza prevede un universo a bolle, fatto di altri universi nati da altrettanti Big bang che si sono manifestati in quella condizione preesistente di realtà fenomenica.
Non essendosi trasformata, questa realtà fenomenica preesistente esiste ancora oggi. Noi, generati dall'universo del Big bang, conviviamo con questa misteriosa realtà, ne facciamo parte e siamo soggetti alle sue leggi e alla sua natura. Così come lo è stato e lo è ancora l'universo del mondo primario nato con il Big bang.
A riprova dell'evidenza del mondo reale, c'è poi da tenere conto di un altro fenomeno che ci riguarda molto da vicino: lo stato di coscienza, che possiamo raggiungere e vivere attraverso l'esperienza della meditazione e che non è rapportabile con le manifestazioni e le esigenze fenomeniche degli altri due mondi.
Questa esperienza apparentemente astratta, ma tanto forte da alimentare la nostra creatività e da operare per migliorare la nostra qualità di vita, ci suggerisce, per via della sua stessa natura, la presenza di un piano di esistenza superiore e reale.
L'esperienza dello stato di coscienza non assolve nè corrisponde ai fenomeni e alle competenze del mondo virtuale e del mondo primario. E' una qualità di interpretazione esperienziale dell'esistenza che ne diviene essa stessa una qualità intrinseca, vissuta sul piano di una consapevolezza e di una conoscenza che riguardano la relazione con una natura più profonda e reale delle cose.
E' evidente che lo stato di coscienza non può appartenere al mondo virtuale poiché esso è in grado di sottrarsi alle rappresentazioni dei modelli comportamentali o addirittura di controllarli e di relativizzare l'habitat soggettivo creato dalle emozioni.
Lo stato di coscienza è un'esperienza totalmente diversa dalla prassi ordinaria. Non si può confondere la sua esperienza con la capacità di adattamento che è sviluppata dal fenomeno dell'intelligenza nel mondo primario. Quest'ultima si relaziona ad un piano fenomenico che è identificabile con le esigenze del mondo primario, mentre invece lo stato di coscienza lo supera in una qualità di esistenza completamente diversa e con migliori capacità creative. Si può constatare attraverso l'esperienza diretta come lo stato di coscienza si possa identificare con la qualità fenomenica del mondo reale, divenendo così l'evidenza più concreta e percepibile della natura globale dell'invisibile.
Rimane il fatto che, al di fuori dello stato di coscienza, non possiamo sapere che cosa sia e che cosa possa rappresentare la natura del mondo reale. Non possiamo neppure immaginarlo. Se lo facessimo, daremmo solo seguito alle nostre aspettative personali o agiremmo secondo un'inerzia culturale impressa nel nostro profondo, allontanandoci da ogni possibile concreta risposta.


La realta' globale dello Shan

Gli iniziatori della tradizione della meditazione identificarono, per comodità didattica, la natura del mondo reale nel concetto di Shan, l'espressione di una realtà globale, assoluta e intrinsecamente in grado di manifestare un valore cognitivo a cui ogni uomo poteva accedervi, proprio attraverso la qualità dello stato di coscienza.
Una sorta di non identita' che non e' rapportabile ai concetti della conoscenza sviluppata sul piano della speculazione culturale. Un Vuoto, privo di attributi concettuali, che rappresenta la vera qualita' fenomenica dell'esistenza al di la' del pensiero e dell'immaginazione.
Questa realta' globale, che essi definirono con il nome di Shan, non e' lontana e avulsa dal nostro mondo quotidiano, anzi ne fa parte e lo comprende, coinvolgendolo nelle specifiche leggi della propria natura fenomenica.
Sebbene la realta' dello Shan sia una evidenza inequivocabile, ordinariamente non ne abbiamo conoscenza poiche', a causa della limitatezza dei sensi, percepiamo, di tutta la sua natura, solamente il ristretto orizzonte del visibile quotidiano. E ordinariamente noi diamo importanza a valori e a fenomeni che si manifestano in questo limitato arco fenomenico, riversando in esso ogni nostra certezza e ogni possibile idealismo.
Ma la natura globale dell'esistenza, sul suo piano assoluto di realta', esiste comunque e a prescindere delle nostre credenze filosofiche e religiose, al di sopra della nostra volonta e delle nostre aspettative. Esiste un aspetto invisibile dell'esistenza da cui siamo dipendenti nostro malgrado.
Il nostro quotidiano e' imprescindibilmente legato e soggetto alla natura propria dello Shan. Ne fa parte e ne e' parte. Che l'uomo voglia o meno, e' inevitabilmente soggetto all'interazione con la natura reale di questo piano globale dell'esistenza: e' nato per meccanismi che sono fuori della sua volonta', esiste e deve morire in un mistero senza precedenti. Non solo, si trova a vivere un processo di evoluzione interiore che puo' anche rifiutare, ma che lo porta inevitabilmente a crescere e a sviluppare piani di coscienza verso l'infinito.
Tuttavia, non partecipare alla natura globale dell'esistenza significa opporvisi in una prospettiva soggettiva, suggerita dalla precarieta' dei propri sensi e legata alle proprie convinzioni personali e alle consuetudini etniche dell'area geografica in cui si e' nati.
Fare cio' significa vivere al di fuori dell'armonia e della completezza che manifesta la natura della realta' globale dello Shan. Significa vivere nel riferimento della propria soggettivita' ovvero nello scontro conflittuale con quella degli altri che a loro volta vivono nello stesso errore esperienziale di vita.
Gli antichi iniziatori della Tradizione della meditazione suggerirono che era necessario realizzare la conoscenza della natura reale dell'esistenza per realizzare una qualita' di vita, completa e armonica, che la stessa natura dello Shan poteva suggerire. Una conoscenza che poteva divenire mezzo di partecipazione reale all'esistenza e fonte inesauribile della propria creativita'.
La conoscenza rappresenta in ogni caso un elemento determinante nella vita di ognuno, da cui dipende la qualita' dell'esistenza di ogni creatura vivente. Piu' abbiamo comprensione delle cose e piu' possiamo migliorare il nostro benessere e partecipare, attraverso progressivi livelli di esperienza, alla natura reale dell'esistenza.
Ma la conoscenza non e' un qualcosa che puo' essere letto sui libri o appreso da altri. Essa, nella sua accezione piu' assoluta, rappresenta il frutto di una esperienza personale e diretta condotta al di fuori della propria soggettivita' percettiva e valutativa.
La conoscenza della natura reale dell'esistenza, ovvero di quel fenomeno chiamato Shan, e' una istanza che non puo' essere mediata ne' dalla scienza ne' tantomeno dalle religioni, o da alcuno che possa pretendere di essere un intermediario tra l'invisibile e l'uomo.
Per questo motivo, gli antichi iniziatori della Tradizione sperimentarono e indicarono l'esperienza della meditazione come strumento e condizione di vita che consentisse l'accesso alla conoscenza della natura segreta e vitale dello Shan.
Non a caso la meditazione, che coincideva con lo Shan, per via della qualità esperienziale ottenuta nello stato di coscienza, prendeva essa stessa il nome di Shan.
Tanto più che la meditazione non rappresentava, e non rappresenta tutt'ora, una metodologia inventata dall'uomo, ma l'interpretazione di un archetipo fondamentale esistente in natura a cui chiunque voglia uscire dall'ovvietà del mondo virtuale e di quello primario può accedervi per realizzare la sua esperienza di esistenza reale.
Quindi, una esperienza vissuta pragmaticamente non ottenuta indirettamente a seguito dell'applicazione di un' etica comportamentale o di una adesione filosofica ad un modello specifico di vita, indicato da qualche divinità, consente di accedere e di interpretare la vita reale.
La meditazione rappresenta, ancora oggi, la sola esperienza che può portarci oltre i parametri del mondo virtuale della mente e della percezione sensoriale, per consentirci di acquisire una effettiva conoscenza e una partecipazione al mondo reale attraverso la realizzazione dello stato di coscienza dello Shan.
La meditazione è infatti lo stesso Shan, così come si rende disponibile all'esperienza umana. Non è una esperienza fatta di parole, di atti di fede o di elaborazioni speculative. E' l'esistenza reale che esiste al di là di ogni possibile aspettativa e che ogni uomo può vivere per andare al di là della barriera dell'ovvio.

(Da "La meditazione e l'esperienza del Vuoto", di Giancarlo Barbadoro, Edizioni Triskel - Torino 98)