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l'ecospiritualità tra storia, cultura e ricerca

LA TRADIZIONE DEL GRAAL


Le tradizioni dei Celti e l’importanza del mito

I Celti, anch’essi espressione della cultura dei Popoli naturali, attribuivano l’origine dei monumenti megalitici a eventi legati al contesto del mito.
Per i Celti, come per gli altri Popoli naturali, il mito assumeva un’importanza determinante poiché in esso intravedevano le loro origini culturali e storiche e vi trovavano storia e conoscenza.
Le tematiche dei miti dei Celti parlavano della venuta sulla Terra di Dei civilizzatori, del mito dell’Eden primordiale o della Terra delle Origini. Nella leggenda del Paese d’Ys si narra della tragedia della scomparsa della loro civiltà di origine, posta nel bacino della terra fertile del Mar Nero, avvenuta sei-settemila anni fa per la tracimazione delle acque del Mediterraneo dopo la fine dell’ultima glaciazione.
I miti dei Celti raccontano di specie intelligenti che avrebbero popolato la Terra prima della comparsa dell’uomo. Una specie simile ai rettili avrebbe tenuto a battesimo l’umanità. Ricordano nei loro miti le grandi catastrofi ambientali che avevano portato alla perdita dell’Eden primordiale, con il conseguente sovvertimento della società da una condizione evoluta all’attuale situazione che essi definiscono come la barbarie. Raccontano della trasformazione della società edenica, agricola e pacifica, in una società patriarcale, sessista, dedita alla caccia e alla guerra e di abitudini carnivore, narrazione che ricorda il mito biblico di Caino e Abele.
Il filosofo greco Platone, nel suo “Timeo”, asseriva in merito ai miti che essi rappresentavano il solo modo di trasmettere attraverso il tempo la cronaca di eventi che altrimenti sarebbero stati dimenticati a causa delle vicissitudini storiche dei popoli e delle catastrofi ambientali del pianeta.



La coppa del Graal, il simbolo della conoscenza alla base di tutta la mitologia druidica, qui rappresentata nella “Coppa di Ardagh” ritrovata nei pressi del Cromlech di Lough Gur in Irlanda
Il mito del Graal

Uno dei più importanti miti delle origini dell’antico celtismo è certamente quello del Graal. Questo oggetto magico era considerato l’origine e la fonte perenne della conoscenza dei druidi. In seguito il mito del Graal venne considerato anche l’origine dell’Alchimia.
Il riferimento alla conoscenza di cui il Graal è portatore sembra essere sancito dallo stesso acronimo del suo nome: “Gnosis Recepta Ab Antiqua Luce”.
Il mito del Graal può essere sintetizzato in un sincretismo tratto da vari riferimenti tradizionali:

Ai primordi della storia dell’umanità, una creatura divina, da alcuni identificata nella figura dei mitici Elohim, scende dal cielo e dallo smeraldo che porta sulla sua fronte, creature semidivine, custodi dell’Eden primordiale, ricavano una coppa di conoscenza che viene consegnata ad Adamo ed Eva.
Quando i due progenitori vengono cacciati dal paradiso terrestre, la Coppa passa di mano in mano, dal tempo dell’Eden sino alla terra d’Egitto, dove viene custodita da Osiride che con essa rende grande il suo regno. Dopo la morte di quest’ultimo, ucciso da Seth, la coppa del Graal va perduta.
Viene ritrovata da Ekhnaton, che tenta di ricostruire l’antico splendore, ma dopo la sua morte essa rimane preda dei figli di Seth e viene portata in salvo sulla Terra Iperborea, dove viene gelosamente nascosta e protetta.
Secoli dopo sarà compito di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, guidati da Merlino il druido, il tentare di recuperarla attraverso le lande europee per portarla al castello di Camelot dove rifondare il perduto Eden.



Il mito di Fetonte

Per la tradizione dell’antico sciamanesimo druidico il mito del Graal è al centro della sua identità e cultura e si lega a quello di Fetonte attraverso vari eventi che lo storicizzano con precisi fatti concernenti il passato.
La tradizione dell’antico druidismo narra la vicenda di un dio celeste disceso in terra in tempi antichissimi sul suo carro dorato, nel territorio identificabile oggi con la Valle di Susa in Piemonte, per donare la sua conoscenza all’umanità del tempo. La sua figura può essere accostata a quella degli Elohim della Bibbia.
Un evento che avrebbe cambiato la storia del pianeta e creato i prodromi dell’affermarsi della specie umana.
Secondo la tradizione dell’antico sciamanesimo druidico, Fetonte scese dal cielo con il suo grande carro dorato che andò a posarsi al centro della Valle di Susa in Piemonte ai piedi dell’attuale montagna Rocciamelone, dal nome celtico Roc-Maol. A quel tempo il mare creava isole tra cui quella principale del Roc-Maol.
Era accompagnato da due aiutanti di metallo dorato, come per Efesto il dio Vulcano della mitologia greca e per Han-si della mitologia cinese.

Il mito di Fetonte nella tradizione asiatica: il Vimana indù rappresentato dal drago volante. Si distinguono i tre doni attraverso la ruota forata, il danzatore sciamanico con il tamburo, e l’arpa della Nah-sinnar
Fece costruire dai suoi due aiutanti un grande cromlech, il cerchio di dodici pietre erette dentro al quale prese a insegnare le sue conoscenze.
Il suo intento era quello di dare origine a una civilizzazione del pianeta sconvolto dalla presenza dei grandi sauri. Per questo motivo organizzò la creazione dell’Ordine monastico-guerriero dello Za-basta, una vera e propria Scuola iniziatica che gli permise di trasmettere le sue conoscenze.
Un Ordine che secondo il druidismo fu preso a esempio dall’Ordine del Tempio.
L’Ordine monastico-guerriero era costituito da due ambiti esperienziali:

1) la Kemò-vad come pratica marziale dolce preparatoria dell’individuo all’arte marziale;
2) la Hahqt’bà come pratica marziale completa.

Quando la Scuola fu operante, prima di congedarsi dal pianeta Fetonte inviò i suoi migliori allievi, gli Ard-rì, su tutti i continenti a continuare la sua opera di civilizzazione.


Il mito di Fetonte tra storia e leggenda

Il mito di Fetonte è presente in molte culture del pianeta che rivelano aspetti sostanzialmente simili:

1) il mito Apache di Ga’an, il “danzatore spirituale” che ha insegnato la danza dello spirito per aiutare i Popoli nativi a evolvere;
2) il mito africano di Nyambè teso anch’esso ad aiutare la salute spirituale dei Nativi insegnando la sua danza sacra;
3) il mito di Thoth dell’antico Egitto, che insegna la danza sacra per elevare il popolo egizio;
4) il mito cinese di Huang Ti che giunge dal cielo sulla terra prendendo dimora lungo il Fiume Giallo e che viene aiutato dai suoi possenti assistenti di metallo.

Esistono successive interpretazioni del mito di Fetonte nella cultura del mondo maggioritario che riflettono la confusione su quanto accaduto nei tempi antichi:
Le interpretazioni classiche del mito di Fetonte si riferiscono alle versioni di Ovidio Nasone (40 a.C. - Le Metamorfosi) e di Diogene Laerzio (190 d.C.).
Entrambe raccontano che Fetonte, il figlio del dio Sole, incapace di guidare il carro solare del padre precipita sulla Terra in una zona che possiamo oggi identificare con il Nord del Piemonte in un luogo posto tra due fiumi, la Dora e il Po.
Secondo il mito greco, Fetonte, per dimostrare a Epafo la sua discendenza divina, pregò il padre di lasciargli guidare il carro del Sole ma a causa della sua inesperienza, ne perse il controllo, i cavalli si imbizzarrirono e corsero all’impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla Terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Gli uomini chiesero aiuto a Zeus che intervenne e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano, forse nell’odierna Crespino o nelle terre di Alfonsine.
Secondo alcuni mitografi, fu in questa occasione che Zeus fece straripare tutti i fiumi uccidendo completamente il genere umano a eccezione di Deucalione e Pirra (il diluvio accostato alla catastrofe del Mar Nero).
Su questa falsariga Platone (400 a.C.) riporta nel Timeo una sua idea sul caso di Fetonte, interpretandolo come una leggenda che aveva lo scopo di poter dare continuità a un fatto storico. Quando il suo interlocutore gli chiese ulteriori particolari Platone rispose:
“Perché quello che anche presso di voi si racconta, che una volta Fetonte, figlio del Sole, avendo aggiogato il carro del padre, per non essere stato capace di condurlo per la via del padre, bruciò tutto sulla Terra ed egli stesso perì fulminato, questo ha l’apparenza di una favola, ma la verità è la deviazione dei corpi che si muovono intorno alla terra e nel cielo, e la distruzione per molto fuoco e a lunghi intervalli di tempo di tutto quello che è sulla Terra.
Allora dunque gli abitanti delle montagne e dei luoghi alti e aridi muoiono più di quelli che dimorano presso i fiumi e il mare…”.
Anche Dante citò questo mito nella Divina Commedia, riferendosi all’eclittica (il cammino percorso dal Sole nel sistema geocentrico) come “…la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn”. Viene citato anche nell’Inferno riguardo al volo sopra il demone Gerione come “Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che ‘l ciel, come pare ancor, si cosse”.
Sempre Dante nella Divina Commedia descrive la piramide conica che si sarebbe prodotta con l’impatto dell’angelo ribelle sulla Terra. In cima a questa piramide colloca l’Eden.
Nel 1700 viene proposto il mito di Fetonte rivisitato dalla Massoneria con la figura del principe egizio Eridano che giunge alla confluenza del Po e della Dora e fonda la città di Torino in Piemonte. Dopo una folle corsa sul suo carro trainato da cavalli cade e muore nel fiume Po.
Nell’esoterismo medievale rimase il tema della tavola smeraldina come riferimento della conoscenza di Ermete Trismegisto sinonimo della conoscenza di Thoth-Fetonte.


Fetonte e la Città di Rama

C’è una evidente similitudine narrativa tra il mito del Graal e quello di Fetonte: una creatura di natura divina che precipita dal cielo sulla Terra e che si manifesta, come si può vedere in seguito, anche come un ente portatore di conoscenza. Per questo motivo il mito di Fetonte sembra fondersi con quello del Graal, tanto da mostrare attraverso due diversi miti la rappresentazione simbolica di uno stesso evento.
Quando venne il tempo di accomiatarsi dagli uomini costruì con il metallo del suo carro celeste una grande ruota d’oro, forata al centro, in cui era custodita tutta la conoscenza che lasciava in dono all’umanità.
Dopo che fu ritornato al cielo, le sue reliquie e la grande ruota d’oro vennero raccolte dagli Ard-rì, i suoi allievi, per essere custodite nel Tempio del Fuoco, una grotta sulle falde della Montagna Sacra.
Intorno a questo tempio venne edificata la città di Rama. A più riprese eroi leggendari la ampliarono ed estesero la sua potenza a tutte le terre conosciute. Ma la sua grandezza era quella di custodire l’antica conoscenza, lo Shan, l’arcaico nome del Graal; una luce che si irradiò per tutta la Terra e fu la base del sapere dei Druidi del tempo.
La città di Rama sembra interpretare il ruolo utopico del castello di Camelot della saga arturiana del Graal.
In effetti, secondo le tradizioni druidiche della valle, nell’antica città di Rama era custodito il Graal, probabilmente la grande ruota d’oro, dono di Fetonte. E come accadde per l’antico Eden, alla distruzione di Rama, il Graal, ovvero la ruota forata di Fetonte, venne occultata per essere salvaguardata dagli invasori del tempo.
La città di Rama era protetta da un grande Drago che interpretava le forze cosmiche dell’universo scaturite dal Vuoto primordiale. Il Drago insegnava ai cavalieri del tempo a lottare e a danzare nel vento e li introduceva alla conoscenza mistica dello Shan.
Da ogni parte del mondo venivano per vedere il grande cerchio di pietre e per conoscere il suo segreto: al suo interno custodiva il segreto dello Shan.
Quando le acque del Mar Nero si portarono via la civiltà madre, Rama rimase la sola a testimoniare l’antico potere del Drago. I millenni la cancellarono ma la conoscenza che custodiva è ancora viva nelle tradizioni di tutta la Terra.
Ancora oggi si narra che il cerchio di pietre esiste ma è invisibile e si mostra solo nella notte di Samain a chi sa cercare. In quella notte, tutti gli abitanti del posto, umani e non, visibili e non, si incontrano tra le eterne maestose pietre e celebrano il ritorno alla Terra ancestrale.



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